Le mamme di WhatsApp e altre storie, raccontate direttamente da Daniel Mendoza

Le mamme di WhatsApp e altre storie, raccontate direttamente da Daniel Mendoza

Accogliamo calorosamente a Daniel Mendoza, artista poliedrico che sta spopolando in radio e in streaming. Recentemente impegnato nella promozione del lavoro Le mamme di WhatsApp, leggiamo con curiosità l’intervista a Daniel Mendoza, grati e onorati per il suo tempo e la cortesia riservataci! Affronteremo perciò aspetti musicali e di vita, Daniel Mendoza si aprirà a noi con quelle che sono le collaborazioni, fra le tante, quelle con BlogDellaMusica, Street Label Records, Tonic 21Gr, Napodano, le esperienze, e i progetti futuri. Entriamo nel vivo dell’intervista e diamo un caloroso benvenuto a Daniel Mendoza!

Com’è nata tua la passione per la musica?

Sono sempre stato molto curioso, appassionato di tante cose. Da ragazzino amavo leggere molto riviste musicali, di cinema, sportive. Penso che in adolescenza le edicole fossero le mie migliori amiche. Avrò speso l’impossibile per riviste e giornali vari. La musica è il naturale approfondimento della mia curiosità. Forse la scelta principale, ma mi sento un creativo e quindi continuo ad alimentarmi di molte cose. La musica però è stata il mio punto di fuga, la prima vera ossessione/occasione dove concentrare me stesso per dimostrare finalmente qualcosa. 

Com’è nato “Daniel Mendoza” e il suo personaggio, il suo sound?

Non sono mai stato bravo a costruirmi un personaggio e ad oggi considero questa carenza un mio limite. Nell’epoca dove l’immagine è ossessiva, io odio addirittura apparire nei miei video e farmi le foto per promuovere le mie uscite discografiche. Forse vengo da un passato dove l’immagine era un corollario all’artista, e non viceversa come oggi, quindi fatico a convivere con questa nuova realtà. Poi sono passato dall’esuberanza post adolescenziale a questa mia riservatezza attuale che di certo non aiuta in un mondo di artisti che sgomitano. Il mio sound (perché non amo parlare mai in terza persona), si è modificato nel tempo. Ho sempre cercato un’evoluzione personale. In questi ultimi anni mi sono spostato dal rap più classico verso un mondo nuovo fatto di melodie e cantautorato dove l’importanza del testo è però al centro di tutto. Sempre.


Come è stato concepito il lavoro Le mamme di WhatsApp?

In modo molto spontaneo, come spesso accade coi miei brani. Sono molto poco pianificatore, scrivo con generosità e non per ottenere il consenso globale. Spesso sono anche poco politicamente corretto, mai offensivo però. Sono una persona ironica, mi piace convertire in canzoni i tanti spunti che la vita mi offre. Ho sempre sorriso davanti a questi fantomatici gruppi delle Mamme di Whatsapp, che accompagnano i loro figli fino ad età adulte improponibili. Spesso si accaniscono per tutto e finiscono per litigare per cose il più delle volte futili. Ho voluto raccontare la parte quasi comica, vissuta però sulle spalle fragili di un figlio adulto vittima consapevole di un rapporto morboso con la propria madre. Un figlio che si fa domande e fatica a trovare un posto nella società perché non sa fare nulla. Ci tengo però a specificare che non è un testo autobiografico. Per fortuna mia madre e whatsapp vanno poco d’accordo. 

Il lavoro è accompagnato da un video?

Assolutamente si. Prossimamente partiranno le riprese. Abbiamo un’idea molto carina. L’unico spoiler che posso  è che anche questa volta nel video non ci sarà la mia “faccia”.

È prevista l’uscita di un disco?

Posso ufficialmente confermare di si!  Ci sto lavorando e non manca troppo. Ha già un titolo, ma per su questo preferisco non sbilanciarmi troppo.

Studi, gavetta, sudore e soddisfazioni… vogliamo conoscere la tua storia, tutto il suo percorso!

Cresco in un quartiere di periferia a Roma molto difficile, dove passarci l’adolescenza non è semplice perché sei in perenne contatto con situazioni di soprusi e omertà. La cosa più assurda è che per te diventa normalità qualcosa che non lo è, e cerchi una tua strada. Io l’ho trovata nella musica appunto, in parte mi ha salvato, in parte le ho regalato i miei anni migliori senza negarle nulla. Dalle ansie alla rabbia, dalla malinconia alla frustrazione, dalla voglia di rivalsa alla soddisfazione per aver raggiunto traguardi anche inaspettati. Forse la gavetta non finisce mai, e più che decantare il mio curriculum, mi pongo sempre l’obiettivo successivo. Mi rimetto in gioco sempre. Oggi non ho ansia da prestazione, sono un privilegiato faccio quello che amo fare ed è già una vittoria innegabile.

Quali sono le tue influenze artistiche?

Tantissime. Dalla black music fino al cantautorato. La mia formazione viene dal rap e quindi avvicinarsi a funk, soul, rnb è la cosa più normale. L’essere beatmaker però mi ha sempre portato anche in altre direzioni, e la ricerca del sample perfetto, mi ha spinto oltre il muro imposto dal mio genere musicale di partenza.

Quali sono le tue collaborazioni musicali?

Ho collaborato con tantissimi artisti. Vengo da progetti passati di gruppo (H&M Team, Gli Inquilini), quindi non ho mai sofferto di solitudine. Ho avuto modo di conoscere tanti bravi artisti e discografici importanti e da molti di loro ho imparato cosa fare e cosa non fare. Come artisti potrei citarti: Tormento (Sottotono), Piotta, Ensi, Assalti Frontali, Rancore, Mace, Marco Pisanelli (Tiromancino), ma soprattutto il più grande di tutti, il compianto Primo (Corveleno).

E le collaborazioni con Comdart, Street Label Records, Tonic 21Gr, Napodano nel lavoro in promozione?

Comdart mi accompagna dal giorno zero nella mia carriera da solista. Professionalità e umanità a supporto del mio percorso artistico. Ormai è un rapporto di amicizia e fiducia. E io per natura mi fido di pochissimi. Street Label Records, invece è la mia casa. Assieme ad Andrea Soul Flake, curo la direzione artistica e management. Uno dei lavori più difficili che esistono al mondo, perché ti porta ad essere prima psicologo e poi tutto il resto. Mi aiuta conoscere l’altra parte della barricata.  Tonic 21Grammi invece è il mio riferimento in fatto di produzione musicale. In molti casi mi produco da solo i miei singoli. A volte con inserti di validi musicisti come Emanuele Lollobrigida ad esempio, ma se devo affidare qualcosa di specifico da zero, Tonic è senza dubbio la mia più grande sicurezza. Lui ha prodotto Trolley e Ejzenstejn per capirci. Ci capita anche di sviluppare assieme a distanza delle idee o mie o sue tra Roma e Milano. C’è grande feeling artistico e umano. E’una delle poche persone con cui ho piacere “moderato”a stare al telefono. Io odio il telefono. Napodano invece, oltre ad essere ormai un amico, è uno degli artisti di punta di Street Label Records. E’ stato l’apripista per il passaggio dell’etichetta da Black Label a Label più aperta al mercato pop e cantautorale. Per “Le Mamme di Whatsapp” l’ho coinvolto al piano e per degli inserti di chitarra. Lui è un pianista eccezionale. Ma è soprattutto artista con un progetto in ascesa e fuori col nuovo singolo: Faccio Indie. In radio vi sarà magari capitato di ascoltarlo.

Quali sono i contenuti che vuoi trasmettere attraverso la tua arte?

Spesso mi capita di scrivere cose che le persone pensano. Non ho la presunzione di essere il portavoce di nessuno, ma spero che l’emotività della mia musica arrivi sempre. Se poi non sarà in grande scala, va bene lo stesso. Non ne ho mai fatta una questione di numeri.

Parliamo delle tue pregiate esperienze di live, concerti e concorsi?

Ho suonato praticamente in tutta Italia. La musica mi ha permesso di viaggiare tanto e conoscere situazioni e persone. Non amo i contest, non per paura di gareggiare, semplicemente perché odio quando un risultato è determinato in parte o gran parte dai voti social. Lo trovo un meccanismo lontano dal mio modo di vivere la musica. Fatico a trasformarmi da P.R. e chiedere voti come in una cena elettorale. In questi casi la competizione si limita al…vince chi ha più amici. Per fortuna esistono diverse rassegne dove i criteri sono in parte differenti e io mi ci approccio con lo spirito sportivo. Alcune volte mi sento fuori contesto ma partecipo con sano spirito da gioco. 

Cosa ne pensi della scena musicale italiana? E cosa cambieresti/miglioreresti?

In Italia funziona il trash. Il kitch. Dai in pasto agli italiani qualcosa su cui dibattere e accanirsi e avrai indietro un successone. Io vengo dalla musica live, dai locali dove lo scambio fra artisti o aspiranti tali era alla base della crescita di un progetto. Non ho voglia di fare una guerra per le views o fare 30 stories al giorno dove parlo del gatto per poi dire che un giorno uscirà il mio singolo nuovo. Per me la musica nasce sui palchi, li posso prendere applausi o pomodori in faccia. Quella è la mia dimensione. Poi si cerca ovviamente un compromesso perché di utopie non si vive, quindi si cerca un equilibrio per non perdere il contatto con la realtà attuale.

Oltre al lavoro in promozione quale altro brano ci consigli di ascoltare?

Colpa di Freud, Trolley, Leicester, Ejzenstejn, Minnesota. Sono tutti singoli figli del mio rinnovamento artistico. Ma con un po’ di curiosità, andando a ritroso, troverete un altro me molto diverso.

Come stai vivendo da artista e persona questo periodo del covid-19?

Penso un po’ come tutti, con la speranza che questa situazione arrivi ad una conclusione. Il Covid ci lascerà la consapevolezza di essere legati gli uni agli altri. Pensare sempre che qualcosa possa succedere solo lontano da noi è un errore imperdonabile. Siamo tutti, ma proprio tutti sulla stessa barca e capirlo ci aiuterà forse a non affondare.

Quali sono i tuoi programmi futuri?

Svegliarmi domani con la speranza di avere sempre un’idea nuova.

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